IL CAMILLO

edizione aprile 2022

Musica in sala

di Maya Germena e Samuele De Salvo

Dopo un'estate stracolma di allori sportivi, medaglie, campionati europei vinti, l'autunno è il periodo dei grandi concorsi internazionali musicali. Lo scorso autunno il primo premio del concorso Paganini di Genova, uno dei concorsi violinistici più importanti al mondo, è stato vinto dall'italiano Giuseppe Gibboni. Al concorso pianistico Chopin di Varsavia, uno dei concorsi pianistici più importanti al mondo, il nostro paese ha ottenuto il secondo premio con Alexander Gadjiev e il quinto premio con Leonora Armellini. Un vero peccato che in nessun telegiornale nazionale e in nessuna TV nazionale siano state date queste notizie. “Penso che se veramente la cultura in Italia fosse al primo posto, questi straordinari giovani sarebbero già stati invitati dalle più alte cariche dello stato” è stato il commento di Danilo Rossi, ex prima viola alla Scala di Milano. “Musica in Sala”, un progetto PCTO in collaborazione con Unione Musicale, nasce con il fine di riuscire a catturare l'interesse dei ragazzi per la musica colta e riportarli nelle sale da concerto: solo attraverso l'ascolto dal vivo si può sentire tutta la forza e la bellezza della musica, un viaggio tra le emozioni che difficilmente può essere vissuto davanti ad un social media. Vi presentiamo le recensioni di Samuele De Salvo e Maya Germena del concerto oggetto di questo progetto, con la speranza che le loro meravigliose parole possano solleticare la curiosità di tutti i lettori e far riscoprire il mondo delle sale da concerto.


La sera di sabato 27 novembre si è tenuto, ospitato dall’Unione Musicale, il secondo concerto della serie Next Generation. Gli interpreti, Fabiola Tedesco al violino e Paolo Tedesco al violoncello, hanno ampiamente dimostrato la loro abilità e sensibilità deliziandoci con un programma spettacolare e particolare. Tecnicamente eccellenti, hanno dimostrato entrambi un abilissimo utilizzo dell’arco e delle varie tecniche dei loro strumenti, senza dare segni di stanchezza e cali di qualità del suono. Assolutamente lodevole è inoltre la fluidità dei loro movimenti, che non hanno tradito la minima difficoltà dimostrando una notevole sprezzatura e intesa con loro stessi e con l’altro. Il violoncellista ha dimostrato fin da subito decisione nei gesti e nel suono, particolarmente evidente nel proprio brano solistico. La violinista invece ha mostrato una sorta di percorso in crescendo, un climax tecnico ed espressivo particolarmente apprezzabile: ha infatti iniziato presentando anch’essa controllo e precisione sublimi, ma con una delicatezza dei gesti particolare. Ha proseguito rinforzando per poi esplodere nel suo brano solistico, particolarmente complesso ed elaborato, sfociando in una gestualità più marcata che ha mantenuto precisamente lo stile iniziale: ci ha dimostrato una sintonia meravigliosa con il proprio strumento, come fosse parte del suo corpo. Da sottolineare è certamente anche l’intento espressivo infuso nella loro esecuzione. Il programma che ci è stato presentato comprendeva brani con sonorità particolari, psichedeliche e colme di tensione. Questi elementi, uniti alla loro abilità, hanno dato origine ad un clima particolarmente intrigante e curioso, che teneva il fiato sospeso ad ogni nota. Ciascuna di esse aveva il giusto peso ed ogni elemento la corretta importanza, marcando spesso tratti dissonanti che mantenevano vivo l’interesse per l’ascolto. Notevolmente precise e piacevoli all’ascolto le variazioni dinamiche. Queste insieme all’esecuzione dei pizzicati (la cui precisione mi ha colpito particolarmente), sono sempre state perfettamente coordinate, sottolineando l’enorme comunicazione fra gli esecutori e gli strumenti, raggiungendo vette elevatissime nella sonata di Ravel. Tecnica eccellente, sublime interpretazione e intesa che rasenta la perfezione sono dunque gli elementi che hanno permeato la serata, mostrandoci due musicisti certamente molto giovani ma che sanno come destreggiarsi in ambito professionistico.

di Samuele De Salvo


Finalmente il pubblico può tornare in sala a riascoltare i concerti, così l’Unione Musicale per valorizzare i giovani concertisti invita a suonare il duo formato da Fabiola e Paolo Tedesco. Il tutto accade il 27 Novembre nella raccolta location del Teatro Vittoria (Torino) che offre uno spazio intimo e raccolto dove il pubblico si sente cullato fin dall’entrata in sala. I fratelli Tedesco si rendono subito simpatici al pubblico dall’entrata sul palco, sorridendo generosamente a tutti. Inoltre portano un programma impegnativo e non sempre apprezzato dal grande pubblico. Il primo brano che vanno ad eseguire è il “duo per violino e violoncello” di Schulhoff. I giovani musicisti trasportano il pubblico in un ambiente sognante che li fa viaggiare lontani da quell’accogliente sala. Gli acuti leggerissimi del violino sembrano quasi delle gocce d’acqua che rimbalzano sui bassi del violoncello. Inoltre la grande espressività degli esecutori agevola la fruizione del brano che avvolge l’ascoltatore. Successivamente vengono eseguiti due brani del repertorio solistico così da valorizzare i due strumenti separatamente: la “sonata per violoncello” op. 25 n. 3 di Hindemith e la “sequenza VIII per violino” di Berio. Paolo Tedesco riesce a trasmettere tutta la potenza del violoncello mentre Fabiola Tedesco riesce ad adattarsi pienamente al pezzo di Berio rendendo efficacemente le dinamiche così da tenere lo spettatore sospeso. Concludono poi con la “sonata per violino e violoncello” di Ravel dove gli esecutori dimostrano pienamente la loro sintonia e la loro sicurezza anche nei passaggi più complessi, facendoli sembrare semplici. Il pubblico applaude calorosamente i due fratelli, i quali sono riusciti a scaldare la fredda serata del 27 Novembre e a riportare speranza nella musica dal vivo dopo un periodo di chiusura.

di Maya Germena

Fast fashion: cos'è e i suoi danni

di Emma Bersotti

Dopo un anno di quarantena in cui l’outfit più ricercato era al massimo un completo in tuta, ora la moda è più in fermento che mai. Le tendenze si susseguono senza sosta e variano sempre di più per stile e materiali utilizzati. Tutti vogliono essere al passo con la moda, sperimentare nuovi stili, osare con look sempre più futuristici, ma soprattutto vogliono spendere poco. Ecco dunque che si giunge a parlare di fast fashion, tema sempre più attuale e controverso… ma cos’è davvero?

Con fast fashion si intende un settore dell’abbigliamento che realizza abiti di bassa qualità a prezzi super ridotti e che lancia nuove collezioni in tempi brevissimi. Parliamo quindi di brand molto noti come Zara, Bershka, Stradivarius e tanti altri. Analizzata solo da questo lato la situazione non sembra troppo spiacevole: vestiti nuovi, a poco prezzo, che vanno al passo con le tendenze, che bello! Tuttavia, il nostro (presunto) risparmio di denaro ha conseguenze drammatiche su altri uomini e donne.


Necessariamente infatti ogni capo d'abbigliamento fast fashion acquistato implica che vi siano lavoratori pagati pochissimo, in condizioni sanitarie non adeguate, senza alcun tipo di assicurazione. Inoltre i materiali, spesso di pessima qualità, non vengono smaltiti correttamente. Come se non bastasse tutto è prodotto massivamente e tutti i capi invenduti vengono abbandonati in discariche o addirittura alla malavita per lo smaltimento. Questo processo si ripete per ogni collezione, spesso anche tre o quattro in un anno per un solo brand, si parla quindi di centinaia di collezioni ogni anno lanciate da marchi non sostenibili e soprattutto di tonnellate di vestiti non smaltibili buttati, pur considerando l’estrema povertà di persone che non hanno neanche una maglietta da indossare.

Tutto questo senza tenere in conto le conseguenze sociali: la povertà che a sua volta si trascina dietro guerra e fame. Viene spontaneo chiedersi, a questo punto, cosa ognuno nel suo piccolo possa fare, rimanendo però al passo con le tendenze. Una prima soluzione sarebbe quella di acquistare solo da brand ecosostenibili e italiani, per citarne qualcuno: Quagga e Casa Gin, i principali in Italia, oppure il famosissimo A-MORE, lanciato da una giovane ragazza durante la quarantena, che spopola su TikTok. Il problema di questi marchi è che sono molto costosi e spesso finiscono le scorte molto velocemente. Ciò che personalmente preferisco fare è acquistare usato. So già che mi guarderete tutti storto, eppure è prima di tutto molto economico e alla portata anche dei portafogli più vuoti, ma soprattutto stimola molto la creatività e la manualità. Per fare un esempio, qualche giorno fa volevo comprare i famosi jeans “wide leg”, molto di tendenza, ma che purtroppo costano anche molto; così sono andata al mercato a comprare un paio di jeans da uomo per due euro, poi con un cordino li ho stretti in vita in modo che non cadessero ed ecco che avevo fatto un piacere all’ambiente (e al mio portafoglio) avendo lo stesso paio di jeans della foto di Bershka. Oltre ai classici mercati sotto casa del sabato mattina, qua a Torino ci sono diversi store di usato, per esempio io prediligo Humana Vintage, in centro, ma ce ne sono molti altri. Se siete particolarmente pigri ci sono molti store online in cui potete vendere anche i vostri stessi vestiti, come Vinted o Vestiaire Collective per acquistare firmato. Ora però vi dirò qualcosa che vi stupirà: si può comprare sostenibile anche da brand fast fashion! Bisogna però fare attenzione, e conoscere molto bene i propri gusti. Se proprio non vi volete togliere il vizio di comprare da grandi marchi, allora fatelo ma con moderazione e mi raccomando solo ed esclusivamente per ciò di cui avete bisogno. Per far questo, vi sembrerà una pazzia, non comprate con i saldi dove i prezzi ribassati vi faranno diventare più avventati con gli acquisti, ma comprate solo a prezzo pieno e prima ragionateci, nessuno vi strapperà la gruccia di mano. Sarebbe utile anche una lezione approfondita da nonne e mamme per evitare di rovinare i vestiti durante il lavaggio. Fate attenzione ai detersivi! Potrebbero essere inquinanti. Inoltre, sarebbe consigliabile ripulire spesso l’armadio donando o vendendo ciò che non serve e sfruttando tutti i vestiti che possediamo, anche quelli che abbiamo nascosto in fondo al cassetto. Fate così e i vostri capi dureranno una vita, facendo del bene ai portafogli e soprattutto all’ambiente, perché è bello mostrare se stessi tramite il proprio stile ma il nostro pianeta lo è ancora di più, e soprattutto ne abbiamo solo uno.

La nostra sessualità non è un taboo pt.2

di Roro

La nostra fedele Roro torna con le sue ricerche e i suoi consigli da amica a chiarirci le idee, senza imbarazzo, su temi spesso messi considerati scomodi e messi da parte


Ciao a tutt* cavourrin*, come promesso continua la rubrica sull’educazione sessuale, l’altra volta abbiamo parlato delle mestruazioni e di come far fronte ad alcuni dolori che queste ci provocano; questo articolo discuterà invece di un tema molto discusso: la masturbazione.

Ma cos'è la masturbazione? Direttamente dalla Oxford Languages: la masturbazione è un atto erotico tendente alla provocazione di un orgasmo sessuale estraneo all’amplesso. Per molto tempo è stato considerato un argomento da evitare e lo è ancora per alcune persone, molti uomini hanno cominciato a chiedersi se questo “divieto” fosse legato a possibili conseguenze negative per la salute, ma alcuni studi rivelano che provoca benefici al cuore, alla pelle e alla prostata, riguardo quest'ultimo punto, sappiamo che la masturbazione garantisce all’uomo una vita sessuale duratura e priva di aiuti chimici. La masturbazione inoltre migliora il sonno, aumenta le difese immunitarie e favorisce la diminuzione di emicrania. Uno studio universitario ha inoltre dimostrato che chi eiacula cinque o più volte in una settimana ha il 33% in meno di probabilità di sviluppare un tumore alla prostata.

Per concludere, non abbiate paura di provare il desiderio di conoscervi e non provate vergogna a farlo, del resto abbiamo appena potuto constatare che ci sono molti effetti positivi no? Io con questo concludo e vi aspetto nel prossimo numero per continuare ad approfondire la nostra sessualità.

Nazionalismi e crisi

di Federico Damiano

Continuo dall'edizione cartacea

Immaginiamo, per un solo istante, di vivere a Roma, in questa città bellissima, che proprio in quel momento, il 1922, stava ricominciando a vivere dopo la Grande Guerra. Immaginiamo di affacciarci alla finestra e guardare per strada, verso quella stessa strada che, dopo aver attraversato un pezzo di Roma, porta direttamente alla Prefettura. Proprio allora, tuttavia, in una mattinata come tante, noteremmo qualcosa di diverso, imponente, spaventoso: un’enorme folla, tanto grande da non sembrare quasi più composta da esseri umani; gli uomini, tutti premuti uno contro l’altro nelle loro camicie nere, sembrerebbero quasi sul punto di fondersi in un solo essere.

Non dovremmo stupirci, anzi proprio il contrario. In fondo non è la prima “manifestazione” fascista a Roma, e oltretutto era un gesto annunciato, eppure… fa più paura del solito, perché questa volta sono molti, molti di più, e perché nell’aria, tutt’intorno, fluttua un alone particolare, che alcuni troveranno inebriante, altri orripilante.

Ma cosa stava succedendo?

Per capire i fatti sconcertanti di quella mattina del 22 ottobre del 1922, dobbiamo fare un passo indietro. Torniamo all’indomani della vittoria, al giorno che seguì il trattato che conferì all’Italia la “Vittoria mutilata” dopo la Prima Guerra Mondiale. Vittoria mutilata, già… ci si potrebbe ricamare sopra per ore, ma di fatto, fu quello che videro, tornando a casa, i sopravvissuti a quel conflitto così cruento. Quegli uomini tornarono nella loro Patria ancora infiammati, seppur con un meno ardore, dallo spirito nazionalistico che aveva condotto l’Europa nel baratro del conflitto, e si videro i territori per cui avevano tanto combattuto negati. Iniziarono così a essere visibili i primi segni del malcontento.

In questa situazione (potenzialmente) esplosiva cominciarono a emergere nuove figure certamente carismatiche, come Gabriele D’Annunzio, scrittore, e Benito Mussolini, politico e giornalista, che seppero cavalcare l'onda del malcontento popolare.

Il resto accadde molto in fretta: D’Annunzio che tentò la conquista di Fiume nel ‘19, Mussolini che formò il suo movimento, i primi squadristi, il biennio rosso e le prime violenze dei fascisti, poi una svolta inaspettata: nel giro di pochi giorni i fascisti isolarono le prefetture nella maggior parte delle città italiane, arrivando a occuparle in certi casi, e poi, divisi in tre colonne, si diressero in marcia verso Roma, per conquistarla. Il Primo Ministro del tempo, il liberale Luigi Facta, preparò il decreto per lo stato d’emergenza, pronto per essere firmato dal re, e lo diffuse durante la notte.

La firma di Vittorio Emanuele III, però, non arrivò mai. Roma si arrese, e con un (assai anomalo) colpo di stato, paradossalmente privo di spargimenti di sangue, ebbe inizio il potere fascista.

Tutto questo avvenne principalmente a partire dalla decisione del re, e la domanda spontanea, ma non banale è: fece bene o male ad arrendersi a Mussolini? Ebbene, molti storici si sono scervellati a lungo sulla questione, e lungi da me ritenermi superiore a loro, ma vorrei rispondere alla domanda con un’altra domanda: se il re avesse dichiarato l’assedio, cosa sarebbe successo? Nello scenario più probabile sarebbe scoppiata una guerra civile, perché non bisogna dimenticare che i fascisti a Roma erano migliaia, mentre l’esercito, stanco dopo la guerra, non era affidabile, anche secondo le parole del Capo di Stato Maggiore Armando Diaz: “L’esercito farà il suo dovere, però sarebbe meglio non metterlo alla prova”.

Ciò che vi è di spaventoso di questa faccenda, però, non è tanto come un solo uomo abbia radunato una folla (neanche così folta) di seguaci e sia riuscito a conquistare un Paese intero, ma come tutto il resto della politica italiana, tra cui figure di spicco come Giolitti, non seppero efficacemente opporsi al nascente movimento fascista, spesso favorendo un loro (mal riuscito) processo di istituzionalizzazione.