2018/2019
AMO LE SCADENZE
Chiara Platania, 5 E
Quando mia zia trova un vasetto di verdure sott’olio nella dispensa non controlla neanche la scadenza perché sa che sono già scadute, ma le mangia lo stesso. Quando mio zio prende in mano una confezione di latte controlla due volte la scadenza e se la data è precedente a domani non lo beve. Per fortuna non sono marito e moglie.
A prescindere da verdure e latte, le scadenze hanno significati eternamente diversi a seconda di chi li attribuisce e soprattutto di quali scadenze si tratta. Per alcuni non è importante quanti giorni fa fosse il tuo compleanno, visto che almeno se ne sono ricordati, ma non si sognerebbero di consegnare un lavoro in ritardo. Per altri è il contrario, eppure si tratta sempre di scadenze.
Tutti quanti abbiamo un concetto di cosa voglia dire “scadere”, però. "Scadere" significa perdere il valore, la qualità che si aveva un tempo; significa che qualcosa o qualcuno era importante e non lo è più. È curioso come i contrari di “scadere” usato in questo senso, come “rivalutarsi” o “valorizzarsi” (secondo la Treccani), siano usati in ambiti in realtà diversi. È forse tanto raro che qualcosa o qualcuno sembrasse meno rilevante e si riveli invece fondamentale? No, di certo, succede con persone con cui si stringe amicizia, con oggetti cui ci si affeziona, con cibi che ci si era sempre rifiutati di assaggiare. E allora perché siamo così pronti a far “scadere” tutto, ma non a “valorizzare” almeno qualcosa?
Forse veniamo delusi troppo spesso dalle nostre aspettative. O forse siamo così preparati a una delusione che quando non arriva non ce ne rendiamo neanche conto. E magari dovremmo invece iniziare ad accorgercene.
PROFESSIONE: REPORTER
Marcello Benazzo, 1 C
Oggi commenterò Professione: reporter, una delle poche pellicole in cui il regista condensa nello stesso lungometraggio un film riflessivo sull’esistenza umana e un film thriller.
Nel 1975 esce Professione: reporter, diretto da Michelangelo Antonioni e prodotto da Carlo Ponti.
David Locke (Jack Nicholson), un reporter realizzato, ma stanco della propria vita, è in Africa per girare un documentario. Quando trova per caso il suo vicino di stanza in albergo, David Robertson (Charles Mulvehill), morto di infarto, ne approfitta: si finge Robertson, scambia le foto sulle carte di identità, sposta il cadavere del vicino nella sua stanza e in ultimo scende alla reception e racconta di aver trovato per caso il signor Locke morto.
Illudendosi di poter resettare completamente la sua vita e viverne una nuova, diversa, più fresca e che possa uscire dalla monotonia ormai diventata frustrante, il finto Robertson dovrà fare i conti con la vera vita di quest’ultimo, che scopre essere un trafficante di armi che rifornisce una piccola rivoluzione in un anonimo stato africano sotto il torchio di un altrettanto anonimo dittatore. Incuriosito da questa quotidianità più eccitante della sua, il giornalista va a Barcellona, luogo di un appuntamento scritto sull’agenda della persona a cui ha rubato l’identità.
In uno degli eclettici palazzi di Gaudì incontra una ragazza (Maria Schneider), il cui nome non sarà mai menzionato, di cui si innamorerà e che renderà partecipe di questa folle avventura contro la normalità. In parallelo, però, la moglie di Locke (Jenny Runacre), insospettita dalla morte misteriosa del marito, cerca l’ultima persona con cui questi aveva avuto contatti: David Robertson. Rintracciatolo nell’entroterra spagnolo parte e lo va a cercare per chiedergli di Locke, ma arriverà troppo tardi: quest’ultimo infatti viene trovato morto in una stanza d’albergo presumibilmente ucciso dai nemici che Robertson si era fatto durante i suoi traffici.
In questo film la riflessione sull’esistenza umana è incentrata sull’impossibilità di fuggire dalla propria realtà, che una volta creata non si può più controllare ed è lei che domina la vita di tutti noi. È interessante notare che qui il personaggio interpretato da Nicholson vive la sua nuova realtà di vita in due modi: il primo dall’interno, essendo ormai diventato David Robertson; il secondo dall’esterno, poiché indaga quella vita che, anche se di sua proprietà, non è nota a colui che tutti ritengono il legittimo proprietario.
La parte più significativa del lungometraggio è sicuramente lo zoom di 7 minuti che simboleggia l’astrazione totale dalla scena, racchiusa anche nel fatto che l’omicidio del protagonista non è dato a vedere né a sentire, ma che viene lasciato intuire dallo spettatore.
Inoltre faccio notare che questa pellicola ha una composizione ad anello: all’inizio morte di Robertson in una stanza d’albergo, alla fine morte del finto Robertson, anche lui in una stanza d’albergo, quasi fosse Madre Natura che si vendica contro colui che si è appropriato dell’ultima cosa che è in diritto di prendersi: l’identità di un altro.
Il film vinse il Nastro d’Argento 1976 per la fotografia di Luciano Tovoli contraddistinta dai contrasti tra il deserto africano e la jeep di Nicholson, dalla cupezza degli edifici di Gaudì e dalle bianche case dei paesi sperduti dell’Algeria e della Spagna.
Per chi avesse piacere di vederlo è disponibile nelle seguenti biblioteche civiche torinesi: Civica centrale, Villa Amoretti, Cascina Marchesa, Alberto Geisser, Don Milani, Italo Calvino, Cesare Pavese, Dietrich Bonhoeffer, Alessandro Passerin d’Entrèves, Primo Levi.
Altrimenti lo si può visionare su richiesta alla bibliomediateca del Museo Nazionale del Cinema in via Serao 8A.
SENZA NE' ARTE NE' PARTE
Giovanna Fantozzi e Alessandra Cappello
DICEMBRE
Hi everyone we are Giovanna and Alessandra. This year we are going to bring to you some pills of art: we will analyse some paintings, some exhibitions and maybe also some poems. We would like to share with you our passion for art and its beauty. It won’t be boring: we would like to bring you inside art to be a part of what you are watching and try to understand every single detail. Enjoy!
THE KISS-FRANCESCO HAYEZ
The kiss is a painting by Francesco Hayez, symbol of the italian romantic art. It was realized in 1859, but we are not in this period: we are in medieval times and we can understand that from the characters’ clothes. This is a trick to hide the real historical period: we are in the Risorgimento era. It is an oil on canvas and its dimensions are 110 cm × 88 cm. Today it is located in the Pinacoteca of Brera, in Milan. This picture is the pure essence of love. In the middle we can see a couple kissing. They are in a passionate hug, part of the same shape. The man wears a brown cape and he uses it to hide a little knife. The scene takes place outdor, in a porch. It’s easy to figure it out by the sun light that makes the shadow of the characters. We can imagine a quick kiss before living for war. Probably the girl didn’t expect to see his man: she has home clothes and her hair are not brushed. The man is in a hurry: he already has his feet on the stair, ready to escape. Furthermore there’s a person’s shadow in the back that could be a soldier who is trying to capture him. A particular aspect of this painting is in the colors: the blue of the dress, the red of the pants and the white of the wall compose the french flag. It is a tribute to France for the Plombières Agreement between Napoleon III and Count Cavour. In the fourth version of this painting the painter changes the clothes colors. The girl wears a white dress and the man has a green shirt under the cape. They make the italian flag, symbol of unified Italy.
DER KUSS -GUSTAV KLIMT
It is an oil on canvas, and its dimensions are 180 cm x 180 cm. Today it is exposed in the Oesterreichische Galerie Belvedere in Vienna. Painted over the years 1907 – 1908 by Gustav Klimt, the painting -the kiss- (original: Der kuss), represents the triumph of eros and it was considered on the border of pornography. The two lovers embraced in a passionate kiss, shine with their own light. We find an elegant, intense gold color, both for the background and for their tunics decorated like mosaics. Not external light is needed for this painting. In contrast to this warm effect, there is only the green of the grass, on which the couple is on their knees. The woman is in the foreground, custodian of life and beauty. She closes her eyes, she abandons herself to ecstasy by assuming a role of superiority over the man. The man, who is seen only in profile, holds the woman's face in his hands, giving a sense of strength and protection. Around them we find an indefinite and unreal background, which does not give any idea of location and time. According to an interpretation, Klimt's work could describe the moment in which Apollo kisses the nymph Daphne who is about to turn into a laurel plant. The kiss of Klimt was painted during the author's golden period, in which he was inspired by the Byzantine mosaics visited in Venice and Ravenna. This painting is the symbol of the taste of the Belle Epoque and of a time that was disappearing since the beginning of the First World War was about to come.
LE AVVENTURE DEL CAVOURRINO MEDIO
IL LAMENTO STUDENTESCO
Elena Cardinale e Giorgia Lazzeretti, 2 A
DICEMBRE
In Africa, tutte le mattine, quando sorge il sole una gazzella muore. Sempre in Africa, tutte le mattine, al sorgere del sole, un leone si alza e comincia a correre, per non fare la stessa fine della gazzella. A Torino, tutte le mattine, uno studente si alza, imprecando contro la sveglia che come sempre l’ha strappato da un sogno bellissimo, e comincia a correre, pregando che il 16 non faccia ritardo. Ma questa mattina, a me non è andata bene come speravo. Sono le 7.57 e sono ancora fermo a Martinetto. Diamine, dovrò sorbirmi per la terza volta la differenza tra “ritardo breve” e ritardo “non tanto” breve. Ogni tanto mi viene da pensare che la GTT provi un sadico piacere nel fare arrivare in ritardo ogni studente della provincia. Fortunatamente, quando entro in classe non c’è ancora nessun insegnante. Raggiungo il mio posto, poso lo zaino, ma non faccio in tempo a salutare la mia vicina di banco, che il sollievo che mi aveva invaso all’idea di essere – quasi – in orario svanisce in un istante.
Eccola. La vedo. Si staglia sulla porta una figura minuta, vestita tutta d’un punto, che rivolge alla classe un sorriso smagliante a 32 denti, ma che viene contraddetto dalla gonfia cartellina che tiene in mano. È la sua cartellina preferita, di un beige nauseante, tramandata di generazione in generazione a partire dall’anteguerra, con gli angoli smussati e l’elastico difettoso, ma che nonostante gli anni Lei continua ad usare e a mostrare con orgoglio ai suoi allievi. Tutti conosciamo quella cartellina. Il gelo si diffonde nella classe. La Professoressa pronuncia le fatidiche parole: “Ragazzi, ho corretto le verifiche”. Scoppia il caos.
L’Ansiosa va in iperventilazione, gonfiando e sgonfiando ritmicamente un sacchetto di plastica; il Fiducioso tenta di autoconvincersi che non è andata troppo male, ma non ci spera nemmeno lui; il Credente è in ginocchio con le mani congiunte e accanto a lui il Disperato tiene il rosario tra le dita, anche se non va in chiesa dalla Prima Comunione; l’unica tranquilla è la Secchiona al primo banco. Poi ci sono io: tutti mi chiamano Calcolatore, non tanto per un’utopica bravura in matematica quanto per la mia ossessione nel calcolo delle medie, per essere sicuro di arrivare alla fine dell’anno senza l’angoscia del debito. Sto per iniziare le mie operazioni di calcolo, quando mi sento chiamare alla cattedra. Prendo il foglio e torno dritto al mio posto, senza guardare il voto. Durante questo breve viaggio di ritorno verso il fondo dell’aula, rifletto sul fatto che prendendo 8 la mia media dovrebbe alzarsi a 6,72 periodico, ma non sarebbe ancora sufficiente per arrivare al sette pieno. Mi siedo e mi faccio coraggio a guardare nell’angolo in alto a destra del foglio.
6-. Meh. Sul mio volto si dipinge una smorfia di delusione. Per questo compito ho studiato circa il triplo delle ore a cui ero abituato l’anno scorso e ho un rendimento più basso. Com’è possibile?
Cerco di reprimere l’istinto omicida che mi sale in questo momento. Alzando gli occhi vedo la Vicina tornare a sedersi accanto a me nel pieno di una crisi di pianto; mentre cerco di consolarla, allungo l’occhio sulla sua verifica e leggo un 3½ scritto in un’insolita calligrafia arzigogolata. So che non dovrei lamentarmi, ma è più forte di me. Ogni cosa per noi adolescenti è una lamentela. Per dare un esempio scontato, pensiamo alla scuola. A nessuno piace davvero, ma è fin da quando siamo piccoli che ci ripetono “Ci sono tanti bambini che non hanno l’opportunità di andarci, ma lo vorrebbero, quindi pensa a quanto sei fortunato”. Ma allora, è sbagliato per noi lamentarci di professori, verifiche, interrogazioni? Io credo di no. Qualcuno ha deciso che chi ha una fortuna non si può lamentare delle sue sfortune? Ho preso un 6-, ma mi aspettavo un 8; eppure, non posso lamentarmi, perché appena apro bocca sento la Vicina che esclama “Tu sei bravo, ceh, recuperi in fretta, e poi io ho preso 3½, ceh TRE-E-MEZZO, pagherei per un 6-!”.
Io credo che il diritto di lamentarsi sia un diritto di tutti, ma spiegarlo alla Vicina sarebbe troppo lungo e non opportuno adesso. D’altro canto, lei si lamenta sempre. A volte penso che il suo buonsenso non si preoccupi di dirle: “Ehi, cosa? magari basta lamentarsi, eh? È la decima volta che assilli il tuo vicino di banco parlando del ragazzo che ti ha tradita, avrà capito, no?”. Lei è una di quelle persone che sentono il bisogno di sbatterti in faccia la loro sfortuna, quasi ti dicessero “Guarda quanto sono sfigato, compatiscimi!”. Non capisce che la vita non è una competizione a chi sta messo peggio. È fantastico come alla fine mi stia lamentando di chi si lamenta. Come si chiama? “LamentInception”? E alla fine della correzione della verifica, sono giunto a una conclusione: lamentati responsabilmente.
MARZO
Basta. Mi arrendo.
Negli ultimi venti minuti sono stato ad ascoltare la prof e non ho capito niente sulle funzioni, ogni tentativo è inutile. Nah, non è vero, la verità è che non riesco a concentrarmi. Come potrei farlo dopo la giornata di ieri?
Ho visto per la prima volta “L’esercito delle 12 scimmie”, dopo aver trascorso 15 anni della mia vita a confonderlo con “Il pianeta delle scimmie”. Cavolo, ragazzi. Ho visto cose molto più disagiate, ma anche questo non scherza.
Nel 2035, migliaia di esseri umani sono morte a causa di un virus che ha infettato il mondo, la Terra è ormai inabitabile e i superstiti sono un gruppo di scienziati e di detenuti che vengono mandati con delle tute speciali sulla superficie del nostro pianeta per trovare indizi su chi abbia diffuso il virus. Tra i possibili candidati viene scelto dagli scienziati James Cole, che in cambio della libertà, accetta di andare indietro nel tempo nel 1996, anno in cui il virus è stato creato per impedirne la diffusione.
Insomma, per farla breve, c’è un momento del film che mi ha colpito particolarmente: Cole viene considerato “pazzo” a causa delle sue pazze dichiarazioni e finisce in un manicomio per pazzi dove incontra un “vero” pazzo che fa un lungo monologo sulla pazzia e sulla società consumistica. Quante volte ho detto pazzo in questa frase? Dopo aver finito il film ho rivisto quel discorso almeno un centinaio di volte su YouTube, ma ci sono un paio di frasi che continuano a ronzarmi in testa.
“Siamo dei consumatori, Jim! Ah... ok, ok, compri un sacco di roba da bravo cittadino. Però se non la compri che succede? Se non la compri che cosa sei, ti chiedo! Che cosa. Un malato! Mentale.”
È incredibile come un film del 1995 possa essere così… attuale. Vedo le reazioni della gente quando mi chiedono: “Come ti chiami su Insta?” e io rispondo “Non ce l’ho, il tuo amico Insta”. Mi guardano davvero come se fossi un malato mentale. Non è difficile immaginare i loro pensieri, qualcosa del tipo: “Ma come fa a vivere senza social network?”. Beh, io approvo l’uso di queste piattaforme se è per qualcosa di utile. Per esempio, immagino che per un disegnatore sia magnifico poter pubblicare la propria arte con così tanta facilità e visibilità, e lo stesso può valere per un fotografo, per un cantante, un ballerino o uno scrittore. Probabilmente se avessi un social network scriverei queste mie riflessioni lì, non sul mio diario (tanto i compiti non li scrivo mai comunque). Ma tutti quelli che condividono in continuazione ogni singolo istante delle proprie giornate? “Appena svegliata!”, e foto con il trucco appena messo. “Aspettando il treno!” e boomerang che inquadra piedi e binari vuoti. “Pranzo!” e foto con filtro di un piatto di pasta al ragù fatto dalla nonna, con tanto di emoji a cuore. Sono l’unico a cui non interessa essere informato ogni secondo sull’esistenza degli altri? Sono l’unico che pensa che stiamo esagerando con questa tecnologia?
Non dovrei spoilerare, ma sapete il motivo per cui è stato diffuso il virus? Chi l’ha fatto riteneva che gli umani fossero il cancro di questo pianeta. Io non sono ecologista e non voglio buttarmi in un discorso sulla dannosità dell’uomo sulla Terra, ma più mi imbatto in questi abusi della tecnologia, più perdo fiducia nella nostra società.
Se non sei come gli altri, sei un malato mentale.
Se non sei un consumatore, sei un malato mentale.
Se non hai Instagram e non pubblichi ogni mezz’ora una foto di ciò che stai facendo, sei un malato mentale.
A me detto così sembra tutto il contrario.
Chi è il pazzo qui?
O porca… la campanella. Ho rischiato un infarto. La Vicina si stiracchia accanto a me, poi dà un’occhiata al diario. “Ehi Calcolatore, che hai scritto in questi quaranta minuti?” “Un messaggio per le generazioni future, forse.” La Vicina ridacchia: “Cavolo, ogni tanto mi sembri proprio pazzo, sai?”
FATTI DEL LICEO
Daniele Bruno, 1 C
Salve a tutti, sono Daniele Bruno di 1C e quest’anno avrò una rubrica sul giornalino riguardante i fatti del nostro liceo! Ho deciso di dividere il mio primo articolo in due: nella prima ci sarà l’intervista riguardante i rappresentanti d’istituto, nella seconda parlerò della mostra di Claude Monet. Spero vi piaccia!
In questa intervista, dato che non sappiamo come distinguere le voci che parlano abbiamo deciso di assegnare una lettera per riconoscere gli intervistati: A per Alessio Colasurdo, F per Francesco Locatelli, P per Pietro Gava e infine G per Gabriele De Cianni.
“Perché vi siete candidati?”
A- “Mi sono candidato per portare un’aria di innovazione all’interno del nostro liceo e per ascoltare la richiesta sia del singolo studente, sia del gruppo classe o quello scolastico.”
F- “Per questa domanda mi riferisco alla prima volta, qualche anno fa. È stata una scelta difficile perché fare il rappresentante d’istituto implica soprattutto portare qualcosa di nuovo e anche una sfida personale per quanto riguarda la voglia di imparare ad avere la capacità di trasmettere un messaggio. Il primo anno che ho fatto il rappresentante d’istituto è stato una scoperta, invece il secondo è stato una campagna difficile, come i più vecchi si ricorderanno, che mi ha letteralmente stremato, infatti, durante l’estate, sono arrivato alla conclusione di non ricandidarmi più, ma dato che fermo non so stare e per fortuna sono maturato grazie agli avvenimenti che sono successi, ho deciso di ricandidarmi.
P- “Mi sono candidato perché entrando in questa scuola ho trovato un mondo totalmente diverso da quello precedente e tutto quello che la scuola mia ha dato lo devo anche alla mia candidatura, perché io mi sento parte di questo ambiente che è il Cavour. In me credevo giusto fare la mia parte e per questo motivo ho deciso di ripetere per la seconda voltala candidatura anche quest’anno
“Vi siete mai sentiti superiori agli altri? Alcuni credono che voi godiate di un certo favore da parte degli insegnanti.”
-“Non mi sono mai sentito superiore agli altri studenti, ma semplicemente una persona che si fa carico di tutte le richieste da parte degli studenti. Non credo assolutamente di godere di un favorimento da parte degli insegnanti.”
L- “Io non mi sono mai sentito superiore a nessuno, ho solo un potere politico che mi permette di fare scelte che andranno a determinare l’andamento e il benessere dell’istituto. Vi posso garantire che comunque non go tanti professori hanno cambiato la loro opinione nei miei confronti, ma vi posso garantire che tanti professori non vedono bene questa cosa, perché la vedono come una perdita di tempo per le loro lezioni
“Come vi sono venute in mente le idee che ci avete proposto?”
-Le idee che vi abbiamo proposto ci sono venute pensando a cosa pensavamo fosse da migliorare all’interno del nostro liceo e abbiamo dovuto riflettere molto (posso poter dire che sono rimasto fino alle tre del mattino a pensare sulle proposte da fare agli studenti)
Al parco commerciale Dora è finalmente arrivata l’evento tanto atteso: Claude Monet Shadow; una mostra che è frutto di un insieme di arte e tecnologia, che legandosi, danno vita ad uno spettacolo spettacolare. La tecnica che è stata utilizzata è quella del video mapping: un mix di ingegnosità con cui è possibile osservare alcune opere del famoso artista francese da una nuova angolazione ed è una ricostruzione fedele dei luoghi e dei personaggi raffigurati nei suoi dipinti. I principali quadri che l’iniziativa vede animati sono: I Papaveri, Lo stagno delle ninfee, I Campi di Tulipani in Olanda, l’Autoritratto. Gli studenti del nostro liceo, saranno le guide della mostra delle 10 opere in 3D di Monet, realizzate dall’artista Luca Agnani. La mostra è aperta per il pubblico dalle 16.00 alle 19.00 dal lunedì al venerdì, invece il sabato e la domenica dalle 11.00 alle 20.00. L’ingresso è con offerta minima di €1 e il ricavato sarà interamente destinato al sostegno delle attività didattiche del nostro liceo! Inoltre, giovedì 15 novembre a partire dalle ore 18.30, ci sarà un aperitivo con l’esibizione degli allievi del liceo musicale. La mostra sarà aperta fino al 25 novembre, perciò: che cosa aspettate?!
CAVOURRINI IN CONCERTO
Irene Hosmer, 2 D
Se non pensate di poter vedere un gruppo di studenti che autonomamente si organizza in un’orchestra e si esibisce in concerto allora vi siete appena persi un esempio, peraltro non il primo: per la Cavour Simphony Orchestra, infatti, il concerto dell’1 dicembre è già il terzo del 2018. Sfidando il freddo, il traffico e la musica che già occupava la piazza antistante, i circa 80 ragazzi (sia del liceo classico sia di quello musicale) che compongono l’orchestra, diretta da Flavio Mattea, si sono trovati nella chiesa di S. Carlo per regalare al vasto pubblico un pomeriggio musicale. Da John Williams a Ennio Morricone, da Schubert a Shostakovich, il repertorio ha prevalentemente proposto celebri colonne sonore e non solo. Ma non finisce qui, in programmazione ci sono già nuovi concerti...dovete solo tendere le orecchie!
FUMETTI
Oriana Fraternali, 2 A
Marta Calasso, 2A con
Laura De Martin, 2C
Laura De Martin, 2C
Marta Calasso, 2 A
LA SPECIALITA' DI OGNUNO DI NOI
Gloria Sapia, 1 E
Ciò che ci rende unici ci unisce ad una categoria di persone.
Soprattutto noi adolescenti vorremmo essere particolari e rispecchiare questo volere negli atteggiamenti, nel modo di vestirsi, nel genere musicale che si ascolta...ma si tende a seguire una corrente di persone per poter essere accettati.
Spesso ciò che siamo e ciò che vorremmo essere è diverso, non sempre riusciamo a essere ciò che vorremmo perchè abbiamo paura di rischiare, abbiamo paura di non essere accettati dagli altri.
Quando si è con amici non ci si preoccupa di ciò che si vorrebbe essere e lo si è veramente.
I veri amici ti accettano per quello che sei, anzi sono tuoi amici perchè amano ciò che sei.
Sono le persone che ci circondano a renderci speciali.
RACCONTO
Irene Iandolino, 1 A
Sono le quattro di pomeriggio e io, Francesca, me ne sto nella mia camera, seduta alla scrivania a disegnare ciò che vedo da fuori la mia finestra: fa caldo, nonostante sia ottobre, e sono vestita con una semplice t-shirt a mezze maniche e dei leggins; nella stanza accanto, mia sorella Serena ascolta la musica con le casse e, molto probabilmente, balla a ritmo delle sue canzoni preferite: entrambe abbiamo la passione per il ballo ed io frequento persino un corso, ormai da quando ho sei anni. Qualche oretta dopo mi alzo dalla scrivania, dopo aver finito di disegnare e di studiare, e mi vado a sdraiare sul letto per riposarmi; accendo il telefono e leggo un messaggio dal gruppo delle mie amiche: <<Hey Fran, vieni stasera ad una festa?>>, solitamente non esco la sera, ma questa volta rispondo acconsentendo e ci mettiamo d'accordo per vederci alle nove di sera sotto casa mia; chiudo WhatsApp e mi rilasso mettendomi della musica. Tempo dopo arriva l'ora di cena e mia madre torna dal lavoro, con mi sorella ceniamo e poi decido di andarmi a preparare per la festa: mi faccio la doccia e mi vesto con un vestito nero che mi arriva di poco sopra il ginocchio e degli stivaletti neri con poco tacco, mi lascio i lunghi capelli biondi ricadenti sulle spalle. In cucina mia madre stava sul divano a guardare la televisione, appena mi vede mi squadra dalla testa ai piedi. -Dove dovresti andare vestita in questo modo?- mi guarda negli occhi seria -Ad una festa...con delle amiche- -Non mi sembra il modo di uscire questo, vai a cambiarti- continua a rimanere seria, non sembra neanche arrabbiata. Rimango ferma, con le braccia incrociate e la borsetta a tracolla, in segno di diniego; mi stupisco io stessa di quel che stessi facendo, mai avrei pensato di disubbidire a mia madre, ma in quel momento mi diede fastidio il fatto che dovesse decidere TUTTO di me, in fondo avevo sedici anni e la capacità di fare le mie scelte, se pur limitata, potevo permettermela. -Francesca, te lo ripeto: vai a cambiarti- dice con voce seria, faccio di no con la testa guardandola negli occhi quasi a volerle far capire che non mi sarei fatta tenere sotto una campana di vetro perché lei aveva paura.
-Francesca, io lo dico per te,- mi guarda -tu no sei persona che veste in questo modo, che frequenta feste fuori casa la sera. Potrebbe capitarti di tutto e non mi va che tu possa tornare a casa, che so, magari ubriaca- -Ho sedici anni e credo di essere abbastanza grande per poter fare le mie scelte e credo di essere abbastanza intelligente da non fare stupidaggini- parlo, ma senza abbassare lo sguardo tenendolo puntato verso di lei. Alla fine riesco a farle sciogliere resistenza e a lasciarmi andare, quindi esco di casa e fuori dal portone del mio condominio trovo le mie amiche che mi aspettano; insieme ci dirigiamo verso il locale.