2019/2020

SCRITTE SUI BANCHI

di Edoardo Mioliggi, direttore 2019/2020

Ciao a tutti cavourrini! Sono Edoardo Mioliggi di V D e sono il nuovo redattore del nostro giornalino. Come al solito, in quanto è il primo numero che viene pubblicato da quando sono redattore, mi è stato chiesto di scrivere un articolo d’apertura. Perciò eccomi, in quello che dovrebbe essere l’inizio di un viaggio, ma, a dirla tutta, da quando quest’anno sono tornato a scuola ho un pensiero costante: per me, come per molti altri, questo sarà probabilmente “l’inizio della fine”. Ed è proprio da questo chiodo fisso che avevo intenzione di partire per scrivere questo pezzo, ma, fino a pochi giorni fa, non avevo davvero alcuna idea per non risultarvi banale e scontato. L’illuminazione, comunque, l’ho raggiunta da poco, quando, l’altro giorno, sono stato in aula di scienze, su all’ultimo piano, per un qualche incontro informativo. Lì, ad un certo punto, come succede quasi sempre, mi sono ritrovato a leggere le scritte che tappezzano i grandi banchi di legno (avete presente? Quelli scuri a gradinate per capirci) e mi sono messo a riflettere. Ora, io non so da quanto quei banchi siano lì, ma mi piace pensare che almeno la generazione precedente alla nostra ci si sia seduta. Ecco, su questi banchi ci sono innumerevoli scritte, anche dei primi del 2000, e quello su cui vorrei farvi soffermare è: chissà quanti studenti proprio come me o voi hanno scritto qualcosa lì sopra e chissà ora dove sono. Quello che voglio dire è che tutti noi, nonostante siamo solo degli alunni qualsiasi tra le centinaia che negli anni sono passati su quei banchi, possiamo lasciare un segno, con i nostri gesti, il nostro impegno, con i legami che instauriamo e sviluppiamo tra noi. Perché se non lasceremo un segno materiale sui banchi della scuola, né diventeremo qualcuno di importante, la cui notorietà sarà per l’istituto motivo d’orgoglio, ci sarà sempre comunque chi si ricorderà di noi e degli anni che abbiamo passato tra le stesse mura.

Per quanto riguarda ciò che state per leggere non prendetemi assolutamente alla lettera, questo devo dirvelo per forza, ma cercate di cogliere solo il pensiero. La conclusione a cui voglio arrivare è: scrivete! Scrivete sui banchi, scrivete sui muri, scrivete e fate in modo che le mura del Cavour diventino vostre, perché, quando tra venti o trent’anni, i vostri figli o i figli dei vostri amici si troveranno tra quelle stesse mura, siederanno su quegli stessi banchi su cui voi avete “scritto”, questi saranno ancora vostri e voi conserverete il ricordo e (almeno in piccola parte) il rimpianto di quando ci scrivevate sopra.

IL VALORE DELLE TRADIZIONI

DICEMBRE

Cos’è la tradizione, e che ruolo svolge nella nostra società?

Spesso nella storia ci si è posti queste domande, e le risposte sono state spesso differenti: chi l’ha esaltata, chi l’ha ripudiata, chi l’ha considerata il fulcro delle società. Ma cos’è veramente la tradizione, e che significato ha per noi e per la nostra società?

È importante premettere che il concetto di “tradizione” è alquanto astratto, perciò è molto difficile darne un’interpretazione universalmente condivisa.

La parola “tradizione” vuole dire trasmettere, tramandare: essa identifica e distingue ogni popolo, perché solo tramandando i costumi, le conoscenze, le religioni e le filosofie può nascere una cultura ben distinta ed unica per ogni popolo.

Ma che ruolo svolgono la cultura e la tradizione all’interno di una società? Per rispondere occorre prima definire il concetto di società.

Hobbes nel settecento definì la società come un insieme di individui ognuno dei quali rinunciava ad una parte della propria libertà in cambio della sicurezza, ed ancora oggi c’è chi sostiene questa idea come unica capace di mantenere stabile, compatta ed integra la società.

Ma una società unita e viva non può che fondarsi sulla tradizione e sulla cultura: sono questi i veri collanti e i veri fondamenti senza i quali una società non può nè nascere nè durare. Infatti la cultura e la tradizione hanno la forza di legare e far sentire uniti e forti i suoi membri in quanto parte di una comunità culturale identitaria unica, uniti non più da un semplice compromesso, ma da un senso di comunità e da un’identità culturale comune.

Quindi, anche in base a molti dei concetti espressi da Zygmunt Bauman, si può affermare che una società priva di un popolo legato da comuni tradizioni e comuni valori è una società fallace e destinata alla morte, dove ogni individuo agisce nell’intento di sopraffare il più debole per egoismo ed individualismo, e dove nessuno ha più alcun punto di riferimento filosofico, religioso o spirituale per la vita e per l’avvenire. Perciò credo che il vero pericolo per le società, le comunità e i popoli di tutto il mondo sia l’appiattimento culturale che, rinnegando le identità culturali, renda il mondo “piatto” (tutto identico) e, ricollegandomi a Bauman, “liquido” (privo di ogni punto di riferimento culturale e comunitario, quindi facilmente malleabile). Credo infine che ogni popolo, ogni società ed ogni comunità abbia il dovere di rispettare le altre e di difendere la propria identità culturale e tradizionale.

SPUNTINO ARTISTICO

DICEMBRE

Un artista che mangia un altro artista.

Era ormai da molto tempo che Cattelan nonché il più iconico (e il più pagato) artista contemporaneo italiano non esprimeva la sua dote artistica, ma, finalmente, qualche settimana fa, ha regalato, si fa per dire, al mondo artistico una sua nuova creatura: l'opera "Comedian".

Un prodotto artistico molto particolare...si tratta di una banana attaccata alla parete con dello scotch grigio dal valore di bei 150 000 dollari per la versione esposta all'Art Basel Miami Beach, mentre le altre due versioni sono state vendute al costo di 120 000 euro ad una donna e un uomo francesi.

Ma la vera domanda che ci facciamo è: qual è la rappresentazione che assume agli occhi dell'artista? La risposta data non ci aiuta più dei tanto... Cattelan ha dichiarato: "the banana is supposted to be a banana", perciò non sappiamo ancora esattamente da che parte sbucciare quest'opera d'arte.

Ma se questo vi sembrerà strano sarete ancora più stupiti nel sapere che la povera banana non ha neanche raggiunto un'ammaccatura o la coloritura nera. Questo sabato pomeriggio l'opera è stata mangiata dall'artista David Datuna, che ha postato su Instagram il video in cui assaggiava l'opera. Proprio così! Sotto il post del video ha rilasciato il commento: "mia performance 'Artista affamato'. Amo il lavoro di Maurizio Cattelan. Veramente delizioso".

Come si può vedere dal video, le persone sono rimaste stupite e divertite dal comportamento di Datuna.

La banana è stata poi sostituita con un'altra, ma Cattelan aveva già consigliato di sostituire il frutto quando non sarebbe stato più utilizzabile.

La reazione di Cattelan allo scoprire dell'accaduto? Dobbiamo sperare che non cada come una pera cotta....chissà che faccia farà...

DETECTIVE LIN MAE

Iandolino Irene, 2 A

OTTOBRE

Difficile capire se quello a cui stava lavorando fosse una semplice coincidenza.
Arruolata da poco meno di un anno nella polizia, a Lin Mae viene affidato un caso di omicidio: una donna – la cui identità era ancora
sconosciuta – era stata uccisa con un proiettile alla testa.
Il corpo della vittima era stato trovato nella propria abitazione ed accanto ad esso vi era un taccuino nero: al suo interno conteneva alcuni disegni. In ogni singola pagina del quaderno vi era rappresentata la scena di un omicidio, ma la cosa particolare – e, per un certo verso, ambigua – era che ogni omicidio raffigurato era realmente accaduto. Possibile che la donna potesse prevedere eventi futuri? Se così fosse stato, allora, avrebbe previsto anche la propria morte? O, forse, era tutto soltanto frutto dell'immaginazione? Tutta una strana coincidenza?
Queste domande vagavano per la testa di Lin Mae, mentre, in laboratorio, analizzava ogni prova trovata sulla scena del crimine per trovare anche solo una minima prova che potesse risolvere il caso: sperava in una qualche impronta digitale, che avrebbe potuto rivelare l'identità della vittima o, chissà, dell'assassino.
Fortuna vuole – diciamo così, ma sappiamo che non si tratta di fortuna – che, proprio sulla copertina del taccuino, si trovava un'impronta: era parziale, ma, chissà, forse avrebbe portato a scoprire una qualche identità. E, infatti, l'impronta ebbe un riscontro nel database: essa apparteneva alla vittima. Lee Saray, studentessa universitaria, con precedenti per furto ed aggressione – finita in un omicidio – accaduti rispettivamente cinque e due anni prima; tali informazioni avrebbero, forse, fatto luce sul motivo dell'omicidio? Forse quella ragazza aveva dei nemici? Qualcuno che avrebbe voluto vendicarsi, magari, per la morte della vittima dell'aggressione? O, magari, una semplice discussione scaturita da una vecchia inimicizia? Per queste risposte si sarebbe dovuto fare un salto nel suo passato; ed era proprio ciò che aveva intenzione di fare la poliziotta rivolgendosi a chi conosceva la vittima.
I primi che sarebbe stato consono chiamare erano sicuro i genitori: in primis per informarli della morte della figlia, secondariamente per chiedere informazioni su di essa; fu esattamente ciò che Lin Mae fece. “Saray era sempre stata una ragazza...ehm...ribelle... - parlò per primo il padre, poiché la madre non se la sentiva tanto era affranta dalla notizia datale – Frequentava compagnie che consideravamo inadatte, ma lei non ha mai dato ascolto alle nostre raccomandazioni...”
“Non erano solo le persone con cui si vedeva... - parlò stavolta la madre, tenendo la mano al marito – Erano anche i posti che frequentava: usciva la sera, senza dire mai dove andasse e con chi, e tornava, solitamente, la mattina presto... - spiega la donna – Ad ogni modo, ero quasi certa che un giorno le sarebbe successo qualcosa.”
“Dall'autopsia è riscontrato che vostra figlia facesse uso di sostanze stupefacenti. - interrompe per un momento Lin Mae – Voi ne eravate a conoscenza?”.
“Lei non ci parlava di nulla. - disse il padre, mentre la madre acconsentiva con quello che stava dicendo – Diceva di voler avere la sua vita privata e che non avremmo dovuto immischiarci.”
“Capisco perfettamente la vostra situazione. - disse la poliziotta con un piccolo sorriso, che avrebbe dovuto rassicurare i suoi interlocutori – Vostra figlia poteva avere dei nemici? Qualcuno voleva farle del male?”
“Come già ha detto mio marito, - parlò la donna guardando il compagno – Saray non ci parlava della sua vita; ma, da quel che, quando sentivo, intuivo dalle conversazioni telefoniche, si trovava spesso in debito con qualcuno.”
“Un'ultima cosa. - disse Lin Mae guardando i due genitori davanti a lei – Nell'abitazione della ragazza non è stato trovato il suo cellulare, per caso l'avete voi?”
“Oh, sì. - annuì la donna tirando fuori dalla borsa lo strumento elettronico – Saray l'aveva lasciato a casa nostra l'ultima volta che era venuta.”
“Vi ringrazio per il vostro tempo. - disse la poliziotta prendendo il cellulare e mettendolo in un sacchetto – Se mai ci saranno accertamenti vi informerò sicuramente.”. I due genitori si alzarono salutando con una stretta di mano la poliziotta ed uscendo dalla stanza dove si trovavano.

Lin Mae portò quella nuova prova – il telefono cellulare – in laboratorio: era quasi certa che i messaggi le telefonate recenti avrebbero sicuramente aiutato nella ricerca dell'assassino. E, infatti, i messaggi che prevalevano erano minacce dovute al fatto che la vittima fosse in debito con colui che le vendeva le sostanze stupefacenti; il più recente – risaliva ad una settimana prima dell'omicidio - diceva “se non mi porti i soldi, vedrai cosa ti succede”, a cui seguiva – questo risaliva al giorno prima della morte - “sei morta, brutta s*****a”.
Dal numero che aveva mandato i messaggi, Lin Mae – o chi per lei – riuscì ad avere un riscontro: era un ragazzo, Park Kai, il quale aveva molti precedenti per furo e spaccio. La poliziotta riuscì a contattare il presunto assassino e a prendergli un campione di DNA: come già si aspettava, questo corrispondeva con quello trovato sull'arma del delitto.
“Quella ragazza aveva contratto un debito da mesi, le avevo dato un tempo limite per portarmi tutti i soldi. - si giustificò il ragazzo dopo aver confessato – Le ho solo inflitto la punizione meritata, l'avevo avvertita.”
“Avrà tempo per farsi tutte le sue giustificazioni in prigione. - disse Lin Mae, seduta davanti al suo interlocutore, con uno sguardo impassibile – Park Kai, lei è in arresto per l'omicidio di Lee Saray e per spaccio di sostanze stupefacenti.”.
Il poliziotto lo porto via e Lin Mae rimase ancora qualche minuto nella stanza, in piedi davanti al tavolo, con le mani appoggiate su di esso.

Se solo avesse potuto trovare l'assassino che aveva ucciso sua sorella – che non meritava di morire solo per la sua onestà – come aveva appena arrestato colui che aveva ucciso quella ragazza che le era sconosciuta.

FUMETTI

Marta Calasso, 2 A

Sara Limido, 2 L

SPORT

Kevin Lela, 3 C

In questo periodo si sta svolgendo in Giappone il RugbyWorldCup 2019; l’ultima edizione della coppa del mondo è stata vinta dagli All Blacks, detentori del titolo dal 2011. Per l’Italia non si prospetta un cammino molto semplice verso la qualificazione dal girone, infatti nella, a causa della sconfitta riportata contro il Sudafrica, dovrebbero battere i neozelandesi per raggiungere il secondo posto.

Al contempo, sempre in Giappone, è in corso il campionato mondiale di pallavolo maschile che vede come favoriti il Brasile e gli Stati Uniti, mentre, invece, l’Italia si trova al decimo posto. In quanto alla pallavolo femminile, le azzurre si sono procurate un meritato terzo posto agli Europei.

Cambiando sport, sono terminati da poco gli US Open, l’ultimo dei quattro tornei del Grande Slam, con in testa Rafael Nadal e la diciannovenne canadese Bianca Andreescu.

Per il numero dodici al mondo Fabio Fognini cessa la corsa al primo posto dei China Open, fermato ai quarti di finale dal russo Chačanov. Inoltre dal 2021 si disputeranno le finali ATP proprio a Torino, al Pala Alpitour, dove avremo l’opportunità di osservare sfidarsi i migliori otto giocatori della lega professionistica.

A settembre si sono conclusi i mondiali della FIBA, Federazione Internazionale di Pallacanestro, in Cina; dopo la clamorosa eliminazione degli USA da parte della Francia delle star NBA Gobert e Fournier ai quarti di finale, la Spagna, guidata da Pau Gasol e Ricky Rubio,vince la medaglia d’oro contro l’Argentina; Ricky Rubio è stato persino scelto come miglior giocatore della finale. Sempre la Spagna, ma questa volta della pallacanestro femminile, si è aggiudicata anche gli europei.

Passiamo adesso al ciclismo: ai primi di ottobre si svolge ogni anno il Giro d’Emilia a cui prendono parte i grandi del ciclismo internazionale, come il vincitore del Giro d’Italia, Richard Carapaz e l’italiano Vincenzo Nibali; quest’ultimo era arrivato al secondo posto nel Giro d’Italia dell’anno scorso, subito dopo Carapaz.

Al contrario delle recensioni positive degli altri mondiali, moltissime sono le critiche e le lamentele per il Mondiale di Atletica in Qatar, dove le atlete sono costrette a sopportare una clima afoso durante le gare, in uno sport in cui il clima è il fattore che influenza di più le prove, dato che si svolgono outdoor. La conferma dell’inadeguatezza della location è, certamente, la maratona femminile, tenutasi qualche giorno fa, durante la quale circa 30 atlete su 68 si sono ritirate perché impossibilitate a continuare a causa del clima troppo caldo e umido. Nonostante questo e altri episodi poco rassicuranti, il Qatar rimane, secondo accordi, la “host nation” dei prossimi mondiali di calcio, quelli del 2022.

Citando Anthony Weatherill, giornalista britannico che si occupa di politica sportiva, “lo sport venduto al miglior offerente”: infatti è questa la situazione che ci troviamo ad affrontare, che una delle colonne portanti della nostra società venga trattata alla stregua di una qualsiasi merce, in balìa dei più potenti, i quali pensano di poter appropriarsi di un bene così prezioso senza badare alle conseguenze.

RACCONTI

Maya Germena

FIGLIO DI PAPÀ

«Stavo per andare a letto, quando lo schermo del cellulare divenne completamente blu. Al centro dello schermo lampeggiava il numero 42. Spensi il timer. Dovevo pensare in fretta, mi restavano solo 42 ore e poi gli scagnozzi di mio padre sarebbero entrati in casa mia e mi avrebbero portato da lui. Mio padre era quel genere di uomo ricchissimo, gentilissimo, onestissimo, simpaticissimo e dai denti bianchissimi. Questo dicevano e pensavano tutti. Tutti tranne me. Per me è sempre stato un tiranno che si arricchisce alle spalle degli altri, un serpente che ti costringe con l’inganno a fare quello che vuole, il mostro sotto il letto dei bambini. La gente è convinta che faccia opere di bene, io so solo che i suoi uomini vanno nelle aziende a riscuotere il pizzo e che vende alle mense scolastiche cibo scaduto. Ma nessuno fa caso a quello che dice “un povero ragazzo problematico che ha perso la madre e la sorella in un incidente d’auto e ora cerca un colpevole”. Volete sentire queste affermazioni senza filtri? Eccovi accontentati: quella sanguisuga di mio padre aveva fatto uccidere le uniche persone che tenevano a me, convinto così che mi sarei unito a lui portando avanti il suo impero. L’unica persona che si interessava a me era Mark, il bullo che mi infilava la testa nel water durante l’intervallo. Adesso mi ritrovavo ad avere una sveglia che ogni ora mi ricordava di non avere scelta: o diventavo come loro o morivo. Poi il pensiero di Mark mi ha salvato la vita. Sono andato a casa sua, ho spaccato una finestra, sono entrato, l’ho picchiato e ho aspettato che i suoi chiamassero la polizia che mi avrebbe rinchiuso nel carcere minorile. Lì almeno sarei stato al sicuro.» Feci una pausa per riprendere fiato e guardai dritto il poliziotto negli occhi con aria di sfida. «Adesso mi crede?»

VENTUNO MINUTI

58, 59, 60… Riuscivo solo a contare. Ormai erano venti minuti che non facevo altro. Non sentivo mia sorella Amina piangere, non sentivo mio padre che mi diceva di correre più veloce, non sentivo il dolore alle gambe e nemmeno le lacrime che mi scorrevano lungo il viso. Ero diventato un guscio vuoto, insensibile a qualunque cosa. Al ventunesimo minuto crollai per terra, non mi reggevo più in piedi. Se prima non provavo nulla, ora tutte le emozioni mi travolsero come un enorme tsunami dal quale non avevo via di fuga. Continuavo a tremare e non capivo più nulla, non sapevo se fosse un incubo o realtà. Finalmente i pensieri iniziarono ad avere un senso, o almeno mi trasportarono in una realtà dove le azioni seguivano una logica: “Amehd, vieni qui!” la mamma era già pronta per andare al mercato, scesi giù dalle scale di corsa e uscii di casa. Amo andare al mercato: i colori delle vesti e della mercanzia ti abbagliano, i profumi ti si insinuano nelle narici e ti fanno girare la testa, il vociare delle persone e lo strillare dei mercanti creano una fantastica colonna sonora. In sostanza tutto è caotico, ma tutto ha un suo ordine, un’ordinata struttura che cambia ogni giorno. Mi piace andare al mercato anche perché posso incontrare Mama Loi e suo figlio Mitch. Mama Loi è una donna dall’aria esotica, che si veste sempre in modo elegante. È la migliore amica di mia mamma e si occupa di me e mia sorella quando lei non è a casa. Mitch è il mio migliore amico. Questo basta per descriverlo. “Sei in ritardo per la gara!” esclamò Mitch. “Pensavo che avessi rinunciato per la troppa fifa.” “Fifa di te? Ma andiamo…” lo provocai io. “Sei pronto?” “Tre, due uno, via!” La gara era iniziata. Il percorso prevedeva una corsa nel vialone centrale, per arrivare per primi al banchetto della signora dei dolcetti. Successivamente bisognava schivare tutte le insidie fino alla bancarella del pesce puzzolente. Chi fosse riuscito a superare l’area dal tanfo pestilenziale avrebbe vinto. Nessuno ci era mai riuscito. “Siamo sempre pari, vero Mitch?” dissi io, ormai senza fiato. “Ancora per poco Amehd”. Giocammo per tutto il pomeriggio, finché Mama Loi non ci riportò a casa. “Amehd, mangia tutto” disse mamma. “Si” risposi io. Non avrei certo mai sprecato del cibo con quello che costava. Non mi lamento, ma insomma, non siamo neanche ricchi. “Fratellone, giochiamo con le bambole?” Io odio le bambole, ma non posso dire di no alla mia sorellina. Fu con quei sogni che mi addormentai, convinto di svegliarmi il giorno successivo nella mia normalità. In realtà le bombe dei terroristi avevano distrutto tutto. Niente più colori, niente più profumi, niente più amici e parenti. Tutto era stato spazzato via, come se le vite di quelle persone innocenti fossero fastidiosi granelli di polvere. Le uniche cose rimaste eravamo io, che mi portavo dietro i fantasmi di quella coltre di cenere che una volta era una città, e il terrore che si insinua in ogni angolo della mente umana senza che tu possa farci niente.